Viviamo in un’epoca d’oro per chi si occupa di marketing e tecnologia.
Abbiamo dashboard che sembrano cabine di pilotaggio di un’astronave. Conosciamo i dati demografici, gli interessi, il momento esatto in cui i nostri utenti respirano e quello in cui cliccano “Acquista”. Impostiamo pubblici lookalike, ottimizziamo i funnel con una precisione chirurgica e lasciamo che gli algoritmi facciano il lavoro pesante.
La strategia è efficiente. I canali sono perfetti. La tecnica è impeccabile. E allora perché, molto spesso, tutto questo non basta? Perché le campagne non decollano come vorremmo? Perché quella sensazione di aver speso tanto per muovere così poco? La risposta è scomoda, ma liberatoria: stiamo diventando così bravi a distribuire il messaggio da dimenticarci come si crea un messaggio che valga la pena distribuire.
Se la creatività non cattura l’attenzione e non guida le emozioni, tutte le nostre splendide automazioni hanno basse, bassissime possibilità di successo.
La trappola della tecnica perfetta
Questo è il paradosso del marketing moderno, un tema centrale qui su Orizzonti Digitali. Siamo diventati maestri della “tecnica”.
Puoi essere un mago di Google Ads, un ninja dei social media, un guru dell’automazione. Ma se il contenuto che inserisci in quelle macchine perfette è pigro, noioso o semplicemente “giusto”, stai solo costruendo un’autostrada a dieci corsie per far viaggiare una bicicletta.
Una campagna funziona davvero solo se nasce da due elementi inscindibili:
Un’idea creativa solida e un’esecuzione ragionata, progettata per un unico scopo: intercettare l’attenzione e generare una risposta emotiva.
Solo così si costruisce valore. La tecnica porta le persone alla porta; l’emozione le convince a entrare e a restare. “Ok,” potresti dire, “ma come si genera un’emozione? Specialmente con la scrittura?”
Preparati, perché qui la faccenda si fa affascinante.
Il tuo cervello non sta leggendo questo articolo. Lo sta ascoltando.
Sembra una frase a effetto, ma è neuroscienza pura.
Quando leggi un testo, qualsiasi testo, il tuo cervello oltra a decodificare simboli neri su uno schermo bianco, incredibilmente, attiva le stesse identiche aree neurali che usa per ascoltare una voce reale.
C’è una piccola “voce” nella tua testa, proprio ora, che sta leggendo queste parole. Non ci credi? Prova a cambiare il tono di quella voce. Immagina che a leggere sia un bambino, o un vecchio saggio, o un attore famoso. Fatto? Vedi. Quella voce c’è.
Questo fenomeno ha un’implicazione potentissima per chiunque si occupi di comunicazione (e quindi di marketing, tecnologia e AI). Se il cervello “ascolta” le parole, allora la scrittura oltre ad essere chiara deve “suonare bene”.

Scrivere è come comporre Musica (e l’AI è ancora stonata)
Qui casca l’asino di molte strategie di contenuto.
Non sono le singole parole a fare la differenza. Sono la sequenza di parole a fare la differenza, a dare ritmo alla lettura.
Le frasi brevi. Le pause. La musicalità.
Più una frase è fluida, orecchiabile e facile da “ascoltare” per quella vocina interiore, più il nostro cervello la elabora senza fatica. E sai cosa succede quando il cervello non fa fatica? Si fida di quello che legge.
Più un testo è fluido, più il cervello lo percepisce come vero e affidabile.
Un testo goffo, involuto, pieno di subordinate complesse e tecnicismi inutili è “stonato”. Crea attrito. Il cervello del lettore inciampa, si ferma, si infastidisce. E sai cosa fa quando è infastidito? Chiude la pagina del tuo sito web o della tua brochure.
Scrivere bene, quindi, va oltre il significo di essere chiari. Vuol dire trovare il ritmo giusto.
Perché scrivere è un po’ come comporre: il ritmo delle parole guida la nostra mente.
L’Orizzonte Digitale: Cosa c’entra l’AI in tutto questo?
Ed eccoci al cuore della nostra rubrica. Oggi abbiamo strumenti di Intelligenza Artificiale Generativa che possono scrivere un articolo di blog in 12 secondi. Analizzano il target, scelgono le keyword, producono un testo grammaticalmente perfetto (quasi sempre).
L’AI è la “tecnica” portata alla sua massima espressione.
Ma indovina cosa (quasi) nessuna AI sa ancora fare? Non sa comporre.
L’AI è un paroliere prodigioso, ma non è un musicista. Fa fatica a capisce il silenzio, il peso di una pausa, la musicalità che trasforma una frase da “corretta” a “convincente”. Non capisce quel “suono” che genera fiducia.
L’AI può darti un testo tecnicamente perfetto. Ma quasi sempre sarà un testo senza ritmo, senz’anima. Un testo che, se “ascoltato” da quella vocina nel cervello, suona piatto. Monotono. Finto.
Ed è qui che l’umano, oggi, diventa più importante che mai.
Il nostro ruolo, nell’era dell’AI è cambiato rispetto allo “scrivere” nel senso tecnico del termine. L’AI può farlo per noi. Il nostro ruolo è quello di essere i direttori d’orchestra.
Il nostro compito è prendere il testo “corretto” dell’AI e dargli un’anima. Dargli un ritmo. Dargli una musica. Trasformare le parole in un’esperienza emotiva.

La chiusura del cerchio
La prossima volta che lanci una campagna, che approvi un testo per il tuo sito o che chiedi a un’AI di generare un post, non fermarti alla correttezza tecnica.
Non chiederti solo: “Il target è giusto? Le parole chiave ci sono?”.
Fatti una domanda molto più potente. Falla ad alta voce, se serve: “Che musica fa?”